Transfert: un particolare modo di comunicare con il terapeuta

Transfert: un particolare modo di comunicare con il terapeuta

Le modalità con cui il paziente e il terapeuta si incontrano (la regolarità nella cadenza delle sedute settimanali, la durata di ciascuna, la neutralità del luogo, l’atteggiamento del terapeuta etc.) favoriscono il dispiegarsi del transfert. Esprimendolo in termini molto semplici, consiste nella ripetizione, nel qui ed ora con il terapeuta del là e allora di modalità relazionali infantili che il paziente non può descrivere a parole, perché rimosse o perché risalenti a un periodo preverbale. Rimosse non significa cancellate del tutto, bensì conservate nella mente e capaci di riemergere in particolari condizioni, come, appunto, quella del contesto terapeutico in cui anche le esperienze compiute dal paziente in un periodo molto lontano possono evidenziarsi non soltanto nei comportamenti, ma anche nel modo di parlare, in quello di muoversi e persino nel tono di voce.

Non necessariamente i contenuti del transfert di cui il terapeuta viene ‘investito’ sono la ripetizione della realtà materiale e, quindi, di quelle che sono state effettivamente le relazioni con le figure significative dell’infanzia del paziente. Anzi, fanno riferimento soprattutto a come ha internalizzato, in base alla sua struttura mentale e alle sue esperienze, i suoi genitori e, cioè, alle imago genitoriali interne. Il compito del terapeuta è, quindi, renderle verbalizzabili per permettere al paziente di recuperare anche parti del sé che ha dovuto in qualche modo mettere da parte in epoche precoci del proprio sviluppo.

Mentre ciò avviene, si verifica, fra paziente e terapeuta, una relazione vera e propria nella quale sono costanti le oscillazioni fra i poli della dipendenza e dell’autonomia, dell’avvicinamento e dell’allontanamento, con la comparsa di stati di fusione e di separazione che sono oggetto di osservazione e di lavoro nella stanza di analisi.