Le funzioni materne secondo lo psicoanalista Donald Winnicott

Le funzioni materne secondo lo psicoanalista Donald Winnicott

La madre è ‘normalmente’ vocata ad essere ‘devota’ al suo bambino. Secondo lo psicoanalista Donald Winnicott, la predisposizione della madre a sintonizzarsi e a identificarsi con lui per comprenderne e contenerne i bisogni e gli stati affettivi, nei mesi immediatamente successivi alla nascita, trae origine anche dalla propria esperienza di figlia. Ogni madre, cioè è stata una neonata e, pur non ricordando consapevolmente i suoi primi mesi di vita, sa come accudire il suo bambino, avendo acquisito queste competenze non solo subito dopo la propria nascita, ma anche osservando i suoi genitori, nelle pratiche di allevamento dei suoi eventuali fratelli e giocando a fare la mamma quando era bambina.

Quella che Winnicott definisce ‘preoccupazione materna primaria’ non si esprime con le parole. E’ spontanea e fa sì che l’allattamento del bambino si ponga come un’esperienza estremamente ricca. Non fa riferimento alle indicazioni di medici e infermieri, ma è generata dall’identificazione con il bambino che ha luogo nelle settimane immediatamente successive alla sua nascita, un periodo in cui, per dirla con Winnicott, ‘in larga misura lei è il bambino e il bambino è lei’. Quello che si instaura fra madre e bambino è ‘un contatto senza azione, in cui ci si può sentire una cosa sola tra due persone che sono effettivamente due e non una’. Nel periodo neonatale, la madre non ha altro in mente, se non il pensiero del suo bambino, che dipende totalmente da lei, in uno stato di completa fusione, frutto di una regressione momentanea al suo livello. Le consente di rispettare i suoi bisogni, senza che lui glieli comunichi, mentre vive in uno stato di ‘dipendenza assoluta’, tanto da essere convinto della propria onnipotenza.

In questa fase, il bambino non ha ancora ‘separato il non-me dal me’. E’ la madre a ‘fornirgli una funzione dell’Io ausiliario’ ed è un oggetto con cui il bambino ha una ‘relazione’ muta. In uno stato di non integrazione, in cui il concetto del tempo è ancora assente, per il bambino, ‘il precursore dello specchio è la faccia della madre’. Il suo Sé impara a riconoscersi nei suoi occhi e nell’espressione del suo volto, ma, ‘se la madre è depressa o preoccupata per qualche motivo, allora, tutto ciò che il bambino vede è solo una faccia’. E’ sempre la madre che, esplicitando le sue funzioni di sostegno e di contenimento (holding) delle angosce molto profonde che vive, nonché di manipolazione (handling), gli permette di insediare la sua psiche nel soma, una condizione indispensabile per la salute mentale.

Nell’accompagnare il bambino nei suoi processi naturali di crescita, la madre svolge anche un’altra importante funzione: presentargli il mondo (object presenting) in maniera continua e graduale, affinché possa avere l’illusione di averli creati. Gli fornisce, cioè, un primo abbozzo di pensiero che consiste nel presentarsi al bambino, proprio quando il suo desiderio allucinato della madre emerge, nelle vesti di un ‘oggetto soggettivo’.

Compito della madre, nel procedere dello sviluppo del bambino, è disilluderlo progressivamente - senza quindi fargli conoscere il dolore della delusione - continuando, da un lato, ad andare incontro ai suoi bisogni, dall’altro, ad agevolare il processo di separazione e di individuazione da sé. A poco a poco, non limitandosi più ad essere solo per il bambino, la madre si riappropria delle sue esigenze, ponendo, fra la comparsa dei bisogni del bambino e il loro soddisfacimento, una distanza temporale. Il bambino potrà così aumentare le funzioni del proprio Io, in un progressivo contatto con la realtà e con le frustrazioni che ne conseguono.

Si tratta di un processo maturativo estremamente delicato che porta il bambino dall’avere un ‘rapporto con l’oggetto’ all’’uso dell’oggetto’. Nel primo caso, l’oggetto è frutto delle fantasie e delle proiezioni del bambino che non riesce ancora a distinguerlo da sé. Nel secondo caso, l’oggetto diventa una ‘cosa’ in sé ed è fuori dal suo controllo onnipotente. Per poter ‘usare l’oggetto’, e quindi riconoscere la madre per quello che è, come un’entità distinta da sé e che, come tale, sfugge al suo controllo, il bambino deve poterla distruggere nella sua fantasia e scatenare su di lei la sua rabbia e la sua aggressività, dovuta alla percezione della propria impotenza separata. Se la madre sopravvive alla ‘distruzione’ del bambino, questo può comunicare alla madre, in un linguaggio senza parole: ‘Io ti ho distrutto’ e l’oggetto è lì per ricevere la comunicazione. Da questo momento il soggetto dice: ‘Salve oggetto!’; ‘Io ti ho distrutto’; ‘Io ti amo’; ‘Tu hai valore per me perché sei sopravvissuto al mio distruggerti’; ‘Mentre io ti amo, continuamente ti distruggo nella fantasia (inconscia)’ (..) Il soggetto può adesso usare l’oggetto sopravvissuto’.

Mentre la madre riceverà il dono di essere trovata e utilizzata, il bambino potrà procedere nel suo processo di crescita emozionale, costruendo la propria fiducia in un mondo amico, per giungere allo stadio di ‘dipendenza relativa’ e, poi, approdare, ad adolescenza compiuta, all’’indipendenza’, una situazione di fiducia nel mondo e di autonomia nella quale, sarà anche possibile accettare in maniera creativa di essere, come scrive Voltaire in Zadig, un ‘granello di sabbia’ su un ‘atomo di fango’ che esisteva già prima della sua nascita e continuerà ad esserci anche dopo la sua morte.

La patologia mentale si può sviluppare nel bambino, se i processi appena delineati non si svolgono in maniera adeguata, falliscono o si interrompono ripetutamente, con una compromissione della sua capacità innata di adattarsi e l’inibizione del suo normale processo maturativo. Accade quando ci sono eccessive interferenze esterne, come per esempio, una malattia della madre o un eccesso di preoccupazioni che la tengono mentalmente lontana dal suo bambino, se la madre è stata cresciuta da una madre ‘disturbata’ o, ancora, se ha avuto dei veri e propri ‘blocchi’ dovuti, per esempio, alle paure che può averle instillato la madre, quando le sono nati altri fratelli o sorelle ed è stata ‘inibita’ nella sua naturalezza a prenderli in braccio e ad averne cura.

 

Riferimenti bibliografici

Winnicott D. (1975), Dalla pediatria alla psicoanalisi, Firenze. Martinelli & C.

Winnicott D. (1987), I bambini e le loro madri, Milano, Raffaello Cortina.

Winnicott. D. (1989), Esplorazioni psicoanalitiche, Milano, Raffaello Cortina.